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Riccia
Il Molise
dalle origini ai nostri giorni
Giambattista Masciotta
Volume Secondo
Il Circondario di Campobasso
Napoli
Stab. Tipografico Luigi Pierro e figlio
Via Roma, 402
1915
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Riccia
ORIGINE E DENOMINAZIONE.
- La biografia di Riccia è abbastanza copiosa in grazia degli autori locali, i quali del Comune hanno tracciata la storia civile, ecclesiastica, sociale e perfino l'aneddotica, secondo le tendenze prevalenti della rispettiva cultura. La monografia più complessa è però quella dell'Amorosa, quantunque non meno delle altre deficiente in rapporto alla storia ed alla biografia feudale, che pei nostri Comuni è di supremo interesse.
Riccia vuolsi, dall'Amorosa, derivare da colonia romana ivi stabilita in conseguenza della legge sillana; e ciò sull'autorità di Sesto Giulio Frontino, un brano della cui cronaca delle Colonie attesta che "Aricia oppidum pro lege Sullana... Est Munitum. Iter populo non debetur. Ager eius in praecisuris assignatum est". Il nome di "Aricia" sarebbe provenuto alla colonia per essere dell'Aricia laziale i coloni dedotti, analogamente a quanto diciamo per Ferrazzano.
"Aricia" romana divenne "Saricia" nei diplomi del secolo XII, "Ricia" e "Aritiae" negli atti del secolo XIV, "Ritia" nei decreti di Curia del XVII, e finalmente Riccia.
L'antico stemma del Comune portava nel campo una banda caricata da un riccio (l'Erinàceus Europeo), con intorno allo scudo la leggenda "Undique tutus" (dovunque sicuro), forse a vanto della inespugnabilità del castello feudale che vegliava superbo in difesa dell'abitato. In tempi più recenti - a causa della goffagine spagnolesca che imperversò nelle tendenze artistiche e sociali durante il periodo vicereale - il campo divenne partito con banda, caricato nel primo quarto da tre stelle e nel secondo da un pino al cui piè è il riccio, e la corona principesca turrita culminò l'insegna.
POPOLAZIONE.
- Abit. 1500 nel 1600: 803 nel 1690: 1050 nel 1700: 2459 nel 1750: 3506 nel 1780: 4500 nel 1795: 4593 nel 1800: 6800 nel 1835: 7846 nel 1850: 7595 nel 1861: 8235 nel 1881: 8777 nel 1901: 8061 nel 1911.
NOTIZIE FEUDALI.
- Non abbiamo notizie di Riccia nei tempi longobardi, onde non possiamo affermare se l'università fosse appartenuta alla Contea di Boiano o non piuttosto a quella di Lucera, ch'erano confinanti fra loro.
Parimente oscuro è il primo periodo normanno; sennonchè sappiamo che nel secolo XII Riccia era feudo d'un milite del Monastero dei SS. Pietro e Severo di Torremaggiore: feudo ecclesiastico, cioè, e non già Comune libero od Università regia come presume l'Amorosa. La condizione di feudo ecclesiastico si protrasse, forse, per tutto il periodo svevo.
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All'inizio della dominazione angioina, il Ciarlanti opina che Riccia fosse concessa a Bartolomeo di Capua: e l'Ammirato è dello stesso avviso. Di Bartolomeo di Capua, l'eminente giurista, diamo la biografia nella mon. di Termoli nel IV volume. Egli morì nel 1328; e nel 1314 aveva fondato in Napoli il Monastero dei PP. Verginiani di Montevergine, dotandolo cospicuamente; e nello stesso periodo di tempo aveva pure fatti eseguire il portale ed il prospetto ornato di statue della chiesa di S. Domenico attigua al convento omonimo nella stessa città, così come al presente sussistono.
Gli successe nel feudo di Riccia il figlio quartogenito, Giovanni (essendo gli altri premorti), prole di Maria Franco. Giovanni di Capua di Altavilla ebbe a consorte Iacovella da Caiano, e lasciò due maschi: Roberto e Tommaso.
L'Amorosa assevera che Roberto avesse ricevuto il feudo direttamente dall'avo, forse per la premorienza di Giovanni a Bartolomeo; ma ciò non è esatto, ed a noi consta l'opposto.
Roberto ebbe quattro figli: Bartolomeo, Antonio, Gugliemo (poi arcivescovo di Salerno, e cardinale nel 1378) e Ludovico nominato cardinale insieme col precedente, da Urbano VI, secondo afferma il Mazzella. (273)
Bartolomeo fu l'erede del padre. Ebbe per moglie Andriana Acciaiuoli fiorentina, figlia o sorella di Niccolò, Gran Siniscalco del Regno al tempo della regina Giovanna I.
Andriana era vedova di Carlo d'Artus (274) fatto decapitare in Aversa da Re Ludovico d'ungheria nel 1345, qual complice del duca di Durazzo nell'assassinio di Re Andrea, primo marito della stessa regina. L'Andriana era donna bellissima, e per insuperabile venustà così in grido da indurre il Boccaccio - in omaggio a lei - a dedicare a Bartolomeo di Capua il volume "De Claris Mulieribus".
Bartolomeo avendo parteggiato per Luigi d'Angiò (stato pur ospite suo a Riccia) contro Carlo di Durazzo, fu privato dei feudi appena questi ascesi al trono. Carlo di Durazzo, divenuto Carlo III Re di Napoli, assegnò i feudi a Luigi di Capua, che aveva militato nel campo durazzista.
Luigi di Capua, primogenito di Bartolomeo e dell'Acciaiuoli fu signore di Riccia nel 1383. Luigi, devoto a Carlo III, fu pur devoto al Re Ladislao; e nel 1390, con altri primari della Corte, venne inviato a Palermo per rilevarvi Costanza di Chiaromonte, l'adolescente sposa del giovane Re, ed assistè a Gaeta alle sfarzose feste nuziali della bella ed infelice regina, cui il destino aveva assegnato di dover perpetuare la stirpe dei di Capua!
Luigi di Capua di Altavilla morì nel 1397, colpito da una bombar-
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da, mentre ispezionava le trincee praticate intorno a Capua, per premunire la città dalle sorprese di Bernabò Sanseverino che l'insidiava pel pretendente Giovanni d'Angiò. Di questo feudatario di Riccia, valoroso capitano, diamo altri ragguagli nella mon. di Trivento nel presente volume.
Con diploma del 15 aprile 1397 Andrea di Capua successe a Luigi suo padre nei feudi del ramo di Riccia.
Re Ladislao ebbe carissimo il giovane Andrea, un po' per riflesso delle benemerenze paterne verso la monarchia, un po' per essergli coetaneo ed averlo avuto compagno nei diletti di Corte. Divorziato dalla regina Costanza nel 1392 (dopo sfruttatone il parentado, l'influenza e la vistosissima dote) prescelse Andrea a secondo marito della infelice, la quale obbedendo all'ordine sovrano - disse al novello sposo: "Andrea di Capua, tu puoi tenerti il più avventurato cavaliere del regno, perchè avrai per concubina la moglie legittima del re Ladislao tuo signore!".
Il matrimonio fu fecondo e lieto di due figli: Luigi e Maria, la quale nel 1422 sposò il Conte di Popoli Francesco Cantelmo, e pochi anni appresso - in seconde nozze - Baldassarre della Ratta Conte di Caserta.
Andrea morì tra il 1420 e il 1421; Costanza gli sopravvisse un paio d'anni: ed ambo vennero tumulati nel sepolcreto gentilizio a Riccia. Andrea era nipote di Giulio Cesare di Capua, di cui vide la fine tragica ed ignominiosa (275).
Luigi, nato nel 1418, fu l'erede feudale. Egli tolse in moglie Altobella Pandone (figliuola di Francesco che fu poi conte di Venafro), la quale gli procreò numerosa prole. Luigi di Capua morì, di appena cinque lustri, nel 1443.
Chi gli fu successore? Il Summonte è d'opinione che gli successe il primogenito Andrea: l'Ammirato, invece, è d'avviso che Andrea fosse premorto al padre, onde il successore sarebbe stato Francesco, secondogenito.
La verità è che Andrea fu erede sotto tutela, come rilevasi dal diploma del 26 maggio 1444; e che, essendo morto adolescente, ebbe a successore il germano Francesco.
Francesco di Capua d'Altavilla fu tenuto in grande considerazione da Alfonso I e Ferrante I d'Aragona, che fruirono dell'opera di lui in parecchi lieti eventi di Corte.
Morì in Napoli nel 1488, e le sue spoglie vennero tumulate nel sepolcreto di Riccia.
Dalle sue nozze con Elisabetta Conti ebbe: Luigi successore per Riccia, Bartolomeo, Giovanni morto eroicamente nella battaglia di Seminara, Andrea duca di Termoli, e Annibale signore di Montagano ed altre terre.
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Luigi di Capua non avendo avuta prole da Ginevra Camponeschi della casa comitale di Montorio in Abbruzzo, ed essendo di malferma salute, fece donazione dei feudi al germano Bartolomeo nel 1496.
Bartolomeo di Capua - terzo di tal nome - conseguì il titolo di Principe di Riccia per sè e la discendenza.
Ebbe in moglie Roberta Boccapianola nel 1483, la quale essendo unica erede della stirpe gli portò in dote molti feudi, fra cui Pietracatella e S. Elia, che alle morte di lei vennero a lui intestati (276).
In seconde nozze sposò Aurelia Orsini, figlia del duca di Gravina. In terze nozze Lucrezia Zurlo, famosa ai suoi di per impareggiabile bellezza della persona e del volto.
Bartolomeo di Capua fu Vicerè pel Molise e per Terra di Lavoro nel 1497, e per l'Abruzzo nel 1506. Vivamente compreso dalla nobiltà storica della stirpe, fu prodigo nel procurarsi splendide residenze.
Nel 1513 fece restaurare l'imponente palazzo antico di famiglia in Via S. Biagio dei Librai, in Napoli, costruito nel secolo XV su disegno d'Andrea Ciccione, a facciavista di piperno con pilastrate e ciglioni di marmo bianco alle finestre (277).
Nel 1515 restaurò in Riccia il sontuoso castello, del quale diamo più oltre una succinta descrizione.
Morì il 23 agosto 1522, e fu inumato a Riccia.
Luigi Martino di Capua, successore di Bartolomeo, era prole della Zurlo, unica moglie feconda del primo Principe di Riccia. Luigi sposò Giovanella Orsini della casa dei Principi di Conca, ed ebbe tre figliuoli: Bartolomeo Giovanni e Fabbrizio. Morì nel 1550.
Essendo premorto il primogenito, Giovanni fu l'erede feudale. Egli nel 1564 vendè Pietracatella a Cristoforo Grimaldi; e nel 1566 le terre di S. Giuliano e Sepino a Scipione Carafa Conte di Morcone, del quale aveva sposata la figlia Costanza.
Costanza Carafa procreò due femmine: Giovanna ed Ippolita, rimaste orfane del padre nel 1589.
Ippolita successe al padre nei feudi; ma dei feudi fece cessione a Fabbrizio di Capua, suo zio, per essere germano del padre di lei.
Fabbrizio governò i feudi appena due anni, essendo uscito di vita il 14 settembre 1591.
Luigi di Capua, figlio di Fabbrizio e Dorotea Spinelli di Scalea, ebbe a consorte Giovanella Carafa, e morì il 18 dicembre 1627. A lui il dotto Gramigna aveva dedicato nel 1615 i "Dialoghi e Discorsi" editi a Napoli pei tipi Scorriggia: il che generò ai nostri tempi la credenza che il Gramigna fosse nativo di Riccia, mentre risultò da più accurate ricerche essere egli nato a Prato in Toscana, il 24 ottobre 1575 e deceduto in Roma nel 1650.
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Giovanni Fabbrizio di Capua - figlio di Luigi e della Carafa deceduta nel 1609 - ereditò i feudi paterni. Si narrano di lui molte gesta di alcova e prepotenza lascive, le quali - quantunque esagerate forse dalla tradizione - bastano, per quella parte di vero che possono contenere, a farlo passare presso i posteri per un don Rodrigo autentico. Ebbe a consorte Margherita Ruffo, e morì il 9 marzo 1645.
Bartolomeo, figlio di lui e della Ruffo fu il successore nelle terre feudali. Marito ad Isabella Spinelli ebbe due figli: Giovanni Fabbrizio che gli premorì, e Giambattista.
Bartolomeo di Capua - quarto di tal nome nella stirpe - cessò di vivere il 16 agosto 1691.
Giambattista di Capua, Conte di Altavilla e Principe di Riccia, conseguì pur il titolo di duca di Mignano. Era uno dei più ricchi signori feudali del Reame, e nel 1698 acquistò Venafro per 100.000 ducati.
L'Amorosa non s'indugia punto su questo titolare, che ebbe, nondimeno, così viva parte negli eventi politici del suo tempo.
Giambattista di Capua fu uomo di moralità deficientissima; ed il Granito lo dipinge come "destituito di ogni virtù, persino di quelle più comuni tra i gentiluomini del suo tempo, dei quali non aveva che i vizi; mentre la nobiltà del sangue non ingenerava in lui altro che orgoglio, e la potenza e le ricchezze il rendevano più feroce e corrivo alle vendette, di che era oltremodo sitibondo.
"Uso a vivere circondato da scherani e da bravi, ministri delle sue nequizie, quantunque si fosse studiato di nascondere sotto certa apparente moderazione e piacevolezza di modi la perfidia dell'animo, questa, suo malgrado gli traspariva nel volto. Impaziente di qualunque soggezione aveva sin dalla sua prima giovinezza mosso lite al padre per l'eredità materna, con essersi eziandio bucinato che lo avesse minacciato di veleno: in seguito era stato più volte in carcere per omicidio ed altre violenze fatte commettere dai suoi sgherri, ed ammonito in più rincontri di governare con più giustizia i suoi vassalli trattati da lui ancora peggio che non aveva fatto suo padre" (278).
Ad evitare la prigione pel delitto di mandato d'assassinio a danno di due suoi vassalli, erasi nel 1700 rifugiato nel monastero dei PP. Crociferi a Porta S. Gennaro, dove per diritto d'asilo non poteva temere della libertà.
I suoi amici del patriziato andavano con frequenza a visitarlo, ed in quei convegni vennero gittate le prime basi della congiura contro il governo vicereale; nota poi col nome di Congiura di Macchia, della quale trattiamo nelle notizie feudali relative a Macchia Valfortore e Campolieto, nel presente volume.
Dopo qualche tempo il principe di Riccia, sospettando un colpo di mano contro la propria persona da parte dei vicerè, abbandonò i Crociferi e si trasferì a Benevento, città pontificia, ospite del cardinale Orsini:
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e in Benevento si trattenne fino allo scoppio della congiura, che egli avrebbe voluta iniziare con l'uccisione del vicerè, suo acre nemico; al che si oppose Tiberio Carafa uomo ben altrimenti assennato e prudente.
Il dì 6 ottobre 1701 era fissato per la sommossa; ma i congiurati, avuto sentore che il vicerè Medina Coeli era già informato della cosa, riputarono opportuno di anticiparla al 23 settembre. Fu un disastro, come altrove esponiamo; e dopo tre giorni di lotta fratricida i capi degli insorti dovettero salvarsi con la fuga.
Il principe di Riccia, fuggiasco in Terra di Lavoro per raggiungere Roma, si ricoverò per alcuni giorni in una cappella campestre, allo scopo di far perdere le tracce di sè: ma il duca di Sora (un Boncopagni) suo parente, lo prese prigioniero e fece tradurre a Napoli. Fu tale la paura che lo prese nel vedersi sotto le grinfe del vicerè, che - a disarmarne il risentimento e l'ira - si abbandonò a delle gravi rivelazioni a danno dei complici (egli, il più accanito di tutti!); e per meglio toccare il cuore del Medina Coeli non rifuggì dal denunziare perfino il proprio figlio!
La Corte pontificia (che parteggiava per Vienna) protestò presso il governo vicereale per l'arresto del principe di Riccia eseguito dentro un luogo sacro; onde il vicerè, ad evitar beghe, bandì dal Regno il di Capua e n'ordinò la confisca dei beni.
Giambattista di Capua andò esule in Francia; ma nemmeno colà ebbe fortuna, poichè - per motivi che ignoriamo - venne rinchiuso nella Bastiglia e poi confinato ad Orlèans.
Nel 1707, tornato nel Regno al seguito delle armi austriache, fu reintegrato nei feudi e ricolmo di onori. Malgrado però un così inatteso rivolgimento di fortuna, la moglie Antonia Caracciolo duchessa d'Airola dovè chiedere al Consiglio Collaterale il permesso di vendere alcuni beni feudali per pagare i debiti orleanesi dell'allegro consorte.
Morì Giambattista di Capua il 22 aprile 1732; la cui prole maschile era formata da Bartolomeo e Scipione chiamato erede per Venafro.
Bartolomeo era premorto al padre fin dal 15 novembre 1715. La moglie - Anna Cattaneo, di Baldassarre principe di Sannicandro - diede alla luce un figlio postumo, che fu nomato Bartolomeo, il quale ereditò i diritti paterni succedendo cronologicamente all'avo.
Bartolomeo VI di Capua entrò subito nelle grazie del giovane Re Carlo III di Borbone; e nel 1743, essendo pur duca di Mignano, ebbe la nomina di Colonello del Reggimento provinciale di Terra Lavoro.
Alla testa di questo Reggimento si trovò nella giornata di Velletri (11 agosto 1744), dove si distinse per molti atti di ardimento e di coraggio, e per più ferite riportate (279).
Egli fu poi Maggiordomo della regina Maria Amalia, e Gran Protonotario del Regno.
Non avendo avuta prole da Costanza Gaetani (sposata nel 1731), lasciò disposto che i beni burgensatici andassero a Francesco Vincenzo
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Sanseverino Conte di Saponara (figlio secondogenito del principe di Bisignano e di Lucrezia Capece Galeota) con l'obbligo d'inquartare l'arme dei de Capua nella propria, e di assumere il cognome di Capua Sanseverino (280).
Bartolomeo di Capua morì nel 1792; e con lui si estinse la nobilissima prosapia sette volte secolare, la quale lasciava vivissime impronte di sè nella storia politica e militare del Reame.
Riccia fu devoluta al demanio e non più data in feudo.
NOTIZIE ECCLESIASTICHE.
- Riccia è dipendente, da tempi immemorabili, dell'archidiocesi di Benevento. Comprende una sola parrocchia sotto il titolo di S. Maria Assunta. Il Patrono comunale principale è S. Agostino, il dottore numida, la cui festa viene annualmente celebrata il 28 agosto: e compatrono è S. Vitale martire (diverso dal Ravennate), di cui la festa viene solennizzata ogni anno nella prima domenica di maggio.
Le sue chiese sono:
S. Maria Assunta. - E di antichissima fondazione. Elevata a parrocchiale collegiata, fu mestieri ampliarne le dimensioni al declinare del secolo XVIII, onde le fu aggiunta una nave e venne riaperta al culto e consacrata nel novembre del 1765.
Nel 1883, per munifica pietà di Mons. Domenico Fanelli, essa andò soggeta a novelli restauri, e resa decorosa con cinque nuovi altari di marmi varii.
Contiene un quadro di evidente pregio, su tavola, raffigurante "La Madonna circondata dagli Apostoli" attribuito dai tecnici alla scuola del Buono (?-1480). Contiene altresì, custodite in ricca urna, le reliquie di S. Vitale esumate in Roma nel cimitero di S. Saturnino in Via Salaria e traslate a Riccia nel 1755. Contiene, infine, un Archivio ricco di circa 230 volumi di atti parrocchiali accuratamente conservati.
Con decreto 6 giugno 1794 l'arcivescovo Banditi assegnò alla chiesa le insegne corali, ed ai partecipanti il titolo onorario di canonici.
SS. Annunziata. - È ad una sola nave, e la sua fondazione risale al secolo XIV - forse al 1378 - "quando nelle ribellioni del Regno molti forestieri di detto regno ed anco molti di Schiavonia vennero ad habitare in questa terra" come si apprende da un manoscritto del 1585.
Il suo altare maggiore fu consacrato dal Cardinale Orsini (poi Benedetto XIII) nel 1715. È sede della Confraternita omonima, unica nel Comune.
SS. Concezione. - Era annessa al Convento dei PP. Cappuccini; e di notevole non offre altro fuor che l'altare maggiore, tutto in legno intarsiato, che si reputa paziente ed artistico lavoro di un frate dell'antica comunità monastica.
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S. Maria delle Grazie. - E situata nel Piano della Corte, in prossimità dei ruderi del vecchio castello dei di Capua, e vuolsi sia la chiesa più vetusta dell'abitato e probabilmente coeva ad esso.
Contiene le tombe dei di Capua, ed il sepolcro della infelice regina Costanza di Chiaromonte: e per tanto, e per la vetustà dell'edificio, meriterebbe d'essere dichiarata monumento nazionale.
S. Maria del Suffragio. - Fu edificata nel 1735 per adibirla alla inumazione dei cadaveri. Venne restaurata nel 1761; sennonchè nel secolo scorso era giunta a tal grado di deperimento che l'arcivescovo Cardinale di Rende ne ordinò la chiusura.
Fu riaperta al culto nel 1899, avendo concorso alla spesa della riattazione la locale Congrega di Carità, utente delle rendite che ad essa pertinevano anteriormente alla soppressione dei beni ecclesiastici.
S. Maria del Carmine. - Annessa all'antico Convento dei PP. Carmelitani, situato a nord-ovest dell'abitato, a circa mezzo chilomentro di distanza, in contrada Crocella.
Nell'interno del chiostro è murata una lapide con la data del 1601: data che deve ricordare piuttosto qualche restauro, anzi che l'edificazione del monastero, ben altrimenti più remota.
Il monastero venne abolito in seguito alla bolla 16 agosto 1653 del pontefice Innocenzo X, e da quel tempo è custodito da un eremita, che vigila pure sulla chiesa.
La chiesa - costruita forse nel secolo XIII - fu dovuta abbattere perchè prossima a cadere; e nel 1864 riedificata in forma ottagonale, mercè l'obolo dei fedeli.
La serie degli arcipreti:
Clemente Marzio (1568-96): Schiavone Berardino (1596-1607): Regio Francesco (1607-16): Mastrocinque Francesco (1616-38) Schiavone Giovannicola (1638-45): Carriero Leonardo (1645-80): Corumano Domenicantonio (1681-95): Covatta Tommaso (1695-1701): Ciocca Domenico (1702-06): Sarra Carlantonio (1706-11): Campensa Nicola (1712-16): Cirelli Nicola (1717-27): Ciccaglione Carlo (1727-69): Sassani Gaspare (1770-95): Spallone Berardino (1796-1804): Ruccia Francesco (1804-45): Sedati Nicola (1845-1900): Iaverone Vincenzo ec. cur. (1900-13) arc. (1913-...
NOTIZIE AMMINISTRATIVE.
- Nel secolo XIII Riccia apparteneva alla Capitanata; ed invero, nella Cedola delle sovvenzioni generali e nei Regesti del 1320, è detta "Ricia, qui fuit olim in Capitanata". A quanto pare, fu nel 1286 che avvenne la sua aggregazione al Molise - secondo opina l'Ammirato - per desiderio di Bartolomeo di Capua, che - qual feudatario di Riccia dimorante in Napoli - preferiva adire (per le cause relative al suo maggiore feudo) alla Corte di Capua, anzi che a quella di
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Lucera. Annessa, così, al Molise, Riccia divenne molisana, e sempre al Contado appartenne, dal declinare del secolo XIII.
Nel 1799 Ricci a fu compresa nel Dipartimento del Sangro e fatta capoluogo del Cantone che comprendeva Tufara, Gambatesa, Pietracatella, Monacilioni, Toro, S. Giovanni in Galdo, Ielsi, Mirabello, Gildone, Foiano, S. Bartolomeo in Galdo e Castelvetere.
Nel 1807 essa venne assegnata al Distretto (ora Circondario) di Campobasso, ed elevata a capoluogo di Governo avente nella propria circoscrizione Gambatesa, Tufara e Castelvetere. Con la riforma del 1816 il Circondario di Riccia (già Governo) fu privato di Castelvetere; e per la legge 31 luglio 1892 il suo Mandamento (già Circondario) ebbe aggiunto il Comune di Ielsi agli effetti giudiziari.
Il mandamento di Riccia aveva diritto ad un solo rappresentante: nel 1867 gliene furono assegnati due. I suoi Consiglieri Provinciali furono:
Ricciotti Giuseppe di Riccia, nel 1861.
Ferrara Vincenzo di Gambatesa, nel 1862.
Fanelli Giuseppe fu Gaetano, di Riccia, dal 1863 al 1869.
Fanelli avv. Giuseppe di Nicola, di Riccia, dal 1867 al 1881.
Venditti dott. Raimondo di Gambatesa, dal 1869 al 1873.
Fanelli avv. Alfonso di Riccia, dal 1874 al 1878.
Moffa avv. Giuseppe di Riccia, dal 1879 al 1894.
Fanelli avv. Alfonso di Riccia, dal 1882 al 1901.
Del Lupo ing. Angelo di Riccia, dal 1895 al 19..
Moffa avv. Giuseppe di Riccia, dal 1902 al..
Il Comune di Riccia ha due frazioni: Paolina, e Castellano, di cui tratteremo in fine della presente monografia.
Il Municipio aveva la propria sede in locali di proprietà privata, pei quali corrispondeva l'annuo fitto di L.800. Dal 1913 risiede in locali di proprietà comunale, adattati al novello scopo e prima adibiti ad uso delle Scuole elementari.
La serie dei Sindaci:
Reale Antonio (1809): De Paola Gaetano (1809): Zaburri Bartolomeo (1810): Mignogna Domenicantonio (1811-14): Granata Luigi (1815-22): Fanelli Giuseppe (1822-25): De Sapiis Francesco (1825-31): De Paola Gennaro (1831-32): Fanelli Domenico (1832-34): Ricciotti Giovanni (1835-37): Ciccaglione Raffaele (1838-40): Fanelli Giuseppe (1841-43): Zarrilli Francesco (1844-46): Moffa Pietro (1847-49): Massimo Pasquale (1850-53): Di Tempora Vincenzo (1853-56): Massimo Michele (1857-60): Fanelli Francesco (1860): Moffa Pietro (1860-61): Fanelli Nicola (1861-62): Ciccaglione Abele (1862-65): Fanelli Pasquale (1865-67): Moffa Giuseppe (1867-69): Ciccaglione Abele (1870-71): Massimo Luigi (1871-76): Fanelli Alfonso (1876-79): Cima Luigi (1880-82): Del Lupo Pietro (1882-
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83): Sedati Pasquale (1883-91): Mazzocchelli Giuseppe (1892-95): Sedati Enrico (1895-96): Reale Pasquale (1897-98): Di Tempora Vincenzo (1899-1902): Moffa avv. Giuseppe (1902-08): Reale Pasquale (1908-13): Di Tempora not. Vincenzo (1914...
COLLEGIO ELETTORALE.
- Il Collegio elettorale di Riccia, comprensivo nel 1861 di 14 Comuni (Baselice, Campodipietra, Castelvetere, Cercemaggiore, Foiano, Gambatesa, Gildone, Ielsi, Macchia Valfortore, Monacilioni, Pietracatella, Riccia, S. Elia e Tufara), è comprensivo dal 1891 di 18 Comuni: Campodipietra, Campolieto, Castellino, Gambatesa, Gildone, Ielsi, Macchia Valfortore, Matrice, Monacilioni, Montagano, Petrella, Pietracatella, Ripalimosano, S. Giovanni in Galdo, S. Elia, Toro e Tufara.
Il comune di Riccia dal 1882 al 1891 fu compreso al Collegio elettorale di Campobasso I.
R. PRETURA.
- È allogata in locali di proprietà Iaverone, in Piazza Plebiscito, dove sono pur riuniti l'Ufficio del Registro, l'Agenzia delle Imposte, la Posta e il Telegrafo.
ARMA DEI RR.CC.
- Sono adibiti a caserma alcuni locali di proprietà Ricciotti Pasquale, per l'annuo fitto di L.800. Forza 6.
CARCERE MANDAMENTALE.
- È installato nei locali dell'antico Convento dei Cappuccini, il quale un tempo era "extra-moenia" ed ora è perfettamente urbano, giacchè l'area dell'orto monastico forma la piazza più bella e spaziosa dell'abitato.
Esso convento era stato costruito nel 1679 (a spese dell'Università e del suo signore feudale) sulla vestigia di un monastero dei Celestini. Fu soppresso nel 1807, e ceduto dal Demanio al Comune, che vi allogò fin da allora il Carcere e i Gendarmi.
AGENZIA DELLE IMPOSTE.
- Dipende dall'Ispezione Compartimentale di Napoli, ed appartiene al Circolo di Benevento. Ha nella propria circoscrizione gli 8 Comuni che formano i Mandamenti giudiziari di Riccia (Gambatesa, Ielsi, Tufara) e di S. Elia a Pianisi (Macchia Valfortore, Monacilioni, Pietracatella).
UFFICIO DEL REGISTRO.
- Ha un circolo comprensivo di 4 Comuni del Mandamento giudiziario: Riccia (Gambatesa, Ielsi, Tufara).
ISTRUZIONE PUBBLICA.
* Asilo Infantile. - Sorto ad iniziativa del sac. Andrea Greco dopo il 1870, ne venne affidata la conduzione alle suore Stimmatine della Congregazione francescana fondata da Anna Lapini.
Ha sede dal 1873 nell'ex-Convento dei Cappuccini.
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* Scuole elementari. - Il Comune annovera sei classi elementari maschili e quattro femminili, rette da 10 insegnanti d'ambo i sessi.
Le scuole sono allogate parte in locali di proprietà comunale, parte in locali di proprietà privata tenuti in fitto.
La spesa annuale complessiva ascende a L.13.800.
POSTA E TELEGRAFO.
- L'ufficio postale è stato impiantato nel 1861: l'ufficio del telegrafo nel 1882.
ISTITUZIONI ECONOMICHE E DI BENEFICENZA.
* Congregazione di carità. - Dispone della rendita di L.4.000; che nel 1902 ascendeva a L.3.890,95 gravata di un contributo provinciale in L.172,67.
[La Congregazione amministra il lascito Reale, consistente in un certificato di rendita di L.200 da erogarsi annualmente in maritaggi fra le giovanette di Riccia, che non abbiano età inferiore a 18 anni, e con preferenza a quelle che fossero più prossime congiunte al donatore fino al settimo grado ecclesiastico.
Così dispose, con testamento 10 aprile 1906 (rogato per not. Giuseppe Cima), il sacerdote Pietrangelo Reale, nato a Riccia l'11 dicembre 1821 da Pasquale e Felicia Moffa, e quivi deceduto l'11 aprile 1906].
* Orfanotrofio ed Educandato femminile. - Nel 1891 l'arcivescovo di Benevento Cardinale di Rende, chiesti al Comune alcuni locali dell'ex-Convento nei Cappuccini ed ottenutili con piene forme legali, li fece restaurare a proprie spese ad uso del pio istituto che intendeva allogarvi, e che da allora fiorisce.
L'istituto è diretto dalle suore Stimmatine, e le educande corrispondono la tenuissima retta mensile di L.15.
* Banca Popolare. - Agenzia (della Banca Popolare di Campobasso) istituita nel 1913, ed attualmente gestita dal sig. avv. Garibaldi del Lupo.
ILLUMINAZIONE PUBBLICA.
- A petrolio fino al 1904: dal 1904 ad energia idrelettrica fornita dalla locale ditta Massimo-del Lupo.
CIMITERO.
- È a valle dell'abitato, e distante da questo meno di trecento metri. Fu costruito nel 1840 in contiguità del Convento dei Carmelitani, del quale abbiamo fatto menzione nel cenno relativo alla chiesa di S. Maria del Carmine.
Contiene una cappella appartenente alla Confraternita della SS. Annunziata, ed una gentilizia del sig. Fanelli Giuseppe fu Francesco.
EX-FEUDI NELL'AGRO ATTUALE.
* S. Maurizio. - È menzionato dal Sacco, nel "Dizionario" edito nel 1795, come appartenente al Sovrano, val quanto dire a Ferdinando IV di Borbone. Chi non è pratico di locuzioni feudali potrebbe credere che appartenesse al Re in proprietà privata: il che non è esatto.
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S. Maurizio era feudo dei di Capua. Devoluto alla R. Corona nel 1792, la Visita Economica della Provincia ebbe ordine il 3 dicembre 1803 di procedere - col tavolario Broggia e con l'ing. Carli - all'apprezzo ed alla liquidazione dei beni burgensatici e feudali di Riccia, per assegnarli al Cardinale Ruffo a conto delle RR. Munificenze.
Abolita la feudalità, l'università di Riccia si gravò pel bosco Mazzocco e per S. Maurizio presso la Commissione Feudale, asserendo di aver un tempo ceduti detti possessi all'ex-famiglia feudale per un debito di 11.000 ducati; ed ebbe soddisfatta l'istanza di reintegra con sentenza dell'11 dicembre 1809.
D'allora S. Maurizio è posseduto da vari cittadini di Riccia. Si vedono entro i suoi vasti confini i ruderi d'una vetusta costruzione. In una zona dell'ex-feudo, verso il 1850, fu scoverto casualmente un sepolcreto romano, con tombe formate da lastre di pietre e copertura di tegole comuni, e si rinvennero altresì accanto ai residui degli scheletri gli oggetti votivi: luci, fibule, spade, elmi, monete, ecc.
INDUSTRIE LOCALI.
* Officina elettrica e Molino (Ditta Massimo-Del Lupo). - È un'officina di trasformazione dell'energia proveniente dallofficina generatrice della ditta lng. Ferdinando Guacci in agro di Castropignano.
È stata impiantata nel 1904, e fornisce oltre la forza motrice all'annesso molino (che sfarina pei privati), l'energia per l'illuminazione pubblica e privata nei Comuni di Riccia e di Ielsi.
CRONACA LOCALE.
* 1863. - Il 1º settembre le comitive di briganti capitanate da Michele Caruso e da Titta Varanelli, ammazzano nell'agro di Riccia i contadini Michele di Domenico, Domenicantonio Moffa, e Giuseppe Ciccaglione.
Quaranta giorni dopo il delitto, Caruso va nella masseria di Giuseppe Ciccaglione, rapisce la figlia del povero trucidato, e nel bosco Mazzocca sfoga su di lei la più oscena libidine, tenendola poi presso di sè per amante.
Filomena Ciccaglione fruì della disgrazia per salvare l'esistenza di parecchi disgraziati che cadevano nelle mani del feroce bandito, implorando da lui la loro libertà in nome dell'amore ch'egli le portava; e covava intanto la propria vendetta.
Una notte, stando la comitiva in bivacco nelle campagne di Molinara, Caruso è sorpreso dalla forza pubblica, catturato, incatenato come una belva con catene di ferro e tradotto a Benevento, dove l'indomani, dopo sommario giudizio, è fucilato.
Filomena aveva denunciato il nascondiglio alla polizia, vendicando con la delazione la morte del padre e l'offesa insanabile inflitta a lei da quel bruto. Ella morì spenta dalla tisi in Riccia, appena ventiduenne, il 31 gennaio 1866. Era un tipo di fine bellezza muliebre.
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* 1873. - Il sig. Pellegrino Fanelli rinviene in un fondo rustico, di sua proprietà, nell'agro di Riccia, un ripostiglio di monete in numero d'oltre 3100. Esse vennero catalogate dal dotto gesuita P. Raffaele Garrucci, che le identificò tribunizie e pertinenti all'epoca tra il 486 e il 630 di Roma. Dove sono andate a finire?
CURIOSITÀ.
Nel "Dizionario" del Sacco - edito nel 1795, come si è detto - si legge che in agro di Riccia eravi a quel tempo una sorgente d'acqua sulfurea; nonchè un piccolo lago del circuito di mezzo miglio, abbondevole di tinche.
MEMORIE STORICHE. - ANTICHITÀ.
* Re Tancredi a Riccia. - Nel 1192, allorchè ferveva nel Reame la lotta fra le monarchie normanna e sveva, e il Contado di Molise era già quasi per intero nelle mani dei tedeschi, Re Tancredi - normanno - nel passare dalla Puglia in Terra di Lavoro, "fe' parimente prigione presso il castel della Riccia Roberto figliuol di Riccardo, che fe' morir come suo rubelle". Così il Capecelatro (281), seguendo Riccardo di S. Germano il quale assegna all'evento la data del 1193 e si esprime: "Apud Sariciam cepit quemdam filium Rizzardi et tamquam sibi rebellem punivit".
Il nome della vittima non è ben chiaro, per l'oscura paternità. Di qual Riccardo poteva trattarsi? Non certo del Conte d'Acerra carissimo e devoto al Re.
* Il Castello dei di Capua. - La sua sagoma si svolgeva in linea sinuosa ed occupava un'area valutata a mq. 1020. L'unico accesso al castello (munito d'un ponte levatoio che s'abbatteva sull'ampio fossato) era prospiciente all'abitato, e formato da un unico portale ad arco, aperto nel giusto mezzo d'una facciata rettangolare, costruita in bella pietra calcarea finemente gravinata.
Sul portale, chiuse in cinture a rilievo, tre lastre della stessa pietra; le laterali, portanti gli scudi in rilievo dei di Capua e dei Chiaramonte, la media un'epigrafe del seguente tenore: / Bartholomeus III, De Capua Comes Altaevillae / Ad huiusce loci fortunarumque suarum / Adversus furores bellicos praesidium hanc / Arcem suo studio et impensa construxit / Anno libertatis humanae MDXV / Succede hospes abscede hostis / Ne tentes iratum Iovem. / (282).
Nell'interno, a sei metri dall'ingresso, sorgeva il bellissimo torrione merlato - che ancora sussiste - il quale conteneva la cannoniera ed una torricella di vedetta. "Esso - scrive l'Amorosa - era munito di tutti i mezzi balistici per accrescere l'inespugnabilità del sito, e dalla parte orientale s'ergeva a picco sul precipizio". Altri baluardi difendevano le altre fronti dell'imponente castello, posto a cavaliere d'una tenuta di caccia estesa circa 40 ettari e recinta da mura tutta all'intorno!
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Il palazzo, la residenza feudale - nell'interno della fortezza - presentava quanto di più attraente e sfarzoso il gusto dell'epoca aveva saputo escogitare; e comprendeva pure una ricchissima biblioteca. Nulla aveva da invidiare ad una qualunque villa reale dell'epoca.
All'inizio dei rivolgimenti rivoluzionari del 1799, il popolo, trascinato dalla rettorica occasionale d'un medico repubblicano e dal desiderio di chi sa quale bottino, devastò l'edificio che vantava tre secoli di splendore: devastazione, tanto più vandalica, quanto meno diretta contro gli antichi feudatari, la cui stirpe era spenta già da sette anni.
Scamparono alla rovina il portale, il torrione, gran parte del baluardo ed alcuni muri: vestigia solenni nella loro mutezza, circa le quali non sarebbe inopportuno di provocare dei provvedimenti di conservazione.
A parte la considerazione che i di Capua furono non peggiori degli altri signori della feudalità, ma certamente più illustri nel campo delle scienze o delle armi, a quali perdite irreparabili non andrebbero incontro l'arte, la storia e la civiltà, se si radicasse nel popolo - e prevalesse anche nelle classi intellettuali - l'idea gretta, balorda, stupidamente vandalica, d'abbattere tutti gli edifici che ricordino dolori e miserie all'umanità? Roma, a quest'ora, avrebbe dovuto compiere del Colosseo lo scempio iniziato dai Barberini; Anversa demolire il suo Steen sanguinoso; le sponde del Reno perdere la loro più bella attrattiva, la successione fantastica dei loro cento castelli annidati come falchi in vedetta sulle rupi inacesse, a picco sui flutti...
BIOGRAFIA.
Eustachio ........ - L'Ughelli nella "Italia Sacra" afferma che questo prelato era nativo di Riccia. Si sa, da altre fonti, che apparteneva agli Eremiti Scalzi di S. Agostino; e che venne elevato alla cattedra vescovile di Frigento il 14 dicembre 1348. Morì nella sede stessa nel corso dell'anno 1370.
Giovanni Sedati. - (Védine biografia al nº 47 della Serie episcopale di Larino, a pag. 223 del I volume della presente opera. Vi è riportato col nome di Giacomo, e forse si chiamava Gian Giacomo).
Francesco Sedati. - Nato a Riccia il 3 aprile 1759 da Carlo e Rosanna Venditti, professò l'avvocheria a Napoli; ed al tempo della Repubblica Partenopea fu segretario di Prosdocimo Rotondo (di Gambatesa) - suo congiunto - nel dicastero delle Finanze.
Sopravvenuta la reazione sanfedista, egli riuscì ad imbarcarsi e ricoverò a Marsiglia, dove visse dando lezioni d'italiano. Tornato in Italia dopo la battaglia di Marengo, e nel Regno nel 1807 con le armi francesi, ottenne il posto di procuratore del Re, ch'esercitò prima a Lucera e poi a Chieti.
Promosso Presidente della gran Corte Criminale di Salerno, quivi morì il 13 marzo 1815 "con fondato sospetto di veleno, fattogli propi-
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nare da persona altolocata, che non era riuscito a corromperlo in una causa di gravi interessi ". Così l'Amorosa (283).
Angelandrea Mastroianni. - Di famiglia antichissima di Riccia, sulla cui casa avita si legge scolpito il motto bizzarro ed augurale: "Marinos stet domus haec donec fluctus formica. MCCCCCVII. Elibat et totum testudo perambulet orbem" (284).
Nacque nel 1764 da Saverio e Cesaria Valiante di Ielsi, e fu notaio. Fervido giacobino, come il cugino Andrea Valiante, prese parte attiva ai rivolgimenti del 1799; onde alla caduta della repubblica fu catturato, e tradotto successivamente in varie carceri del Regno, facendo una sosta lunghissima in quella di Salerno.
Uscito libero dopo la pace di Lunéville, il Mastroianni tornò a Riccia; ed alla venuta dei francesi fu assunto all'ufficio di Giudice istruttore presso il Tribunale d'Isernia: ufficio dal quale fu destituito nel 1815 al tempo della Restaurazione.
I Borboni non erano consueti al perdono, nè disposti a tollerare fra i magistrati togati un vecchio liberale d'azione. Il Mastroianni morì nel paese nativo il 15 settembre 1841.
Lorenzo Moffa. - (Ne diamo la biografia nella Serie episcopale di Boiano nel I volume della presente opera, a pag. 228).
Gennaro Fanelli. - Nato a Riccia il 26 dicembre 1818, fu ordinato sacerdote nel 1842 nel Seminario metropolitano di Benevento. Nel 1854 sostituì il proprio cugino Giuseppe Fanelli nell'ufficio di Vicario Capitolare in Lanciano, dove fu poi Vicario Generale e Rettore di quell'importante Seminario. Morì in Lanciano il 29 luglio 1876.
Ne fermiamo il nome in queste pagine, perchè pubblicò in Lanciano nel 1865 le "Notizie biografiche di Vincenzo Gramigna" e nel 1866 la "Biografia di Pasquale Vignola". Nella prima pubblicazione pretese dimostrare che il Gramigna fosse nativo di Riccia, il che venne smentito da studii altrui più accurati: nella seconda rinverdì la memoria del Vignola (Nato a Riccia il 10 febbraio 1802, quivi deceduto il 5 novembre 1840), versatissimo nelle lettere greche e latine, a cui la morte prematura sottrasse la fama che certo non gli sarebbe fallita.
Pietro Moffa. - Nacque in Riccia il 7 dicembre 1804, e si laureò in legge a Napoli, facendo tosto ritorno al paese nativo pèr dedicarsi all'esercizio professionale.
Fu deputato al Parlamento Nazionale nell'VIII Legislatura pel Collegio di Riccia, assiduissimo ai lavori dell'Assemblea, ma senza disegno di porsi in evidenza. Sciolta la Camera nel 1865, non volle più saperne della rappresentanza politica, e rifiutò la candidatura resistendo alle più vive insistenze dei propri concittadini, i quali ne ammiravano la perspi-
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cuità dell'ingegno e più ancora i sensi liberali d'antica data. Morì in Riccia il 29 giugno 1880.
Giuseppe Fanelli. - Vide la luce a Riccia il 13 agosto 1806, e nel 1824 fu ordinato sacerdote nel Seminario di Cerreto. Recatosi a Napoli frequentò la scuola di Basilio Puoti, e vi ebbe condiscepolo Francesco de Sanctis, il quale - nel suo "Viaggio elettorale" - tracciò un gustoso cenno biografico del vecchi amico.
Nel 1849 fu nominato Vicario Generale nella Archidiocesi di Lanciano; e nell'anno successivo - mentre tuttavia imperversava la reazione politica - seppe con dolce ma fermo contegno mitigare le ire poliziesche e la severità del generale austriaco de Brunner colà inviato a tenere in freno i liberali.
Nel 1854 fu promosso alla dignità vescovile ed assegnato alla cattedra di S. Angelo dei Lombardi e Bisaccia, dove seppe tosto cattivarsi la deferenza d'ogni partito pel suo grande spirito di tolleranza.
Caduta la monarchia borbonica, la diocesi era infestata nel 1860 dal più criminoso ed audace brigantaggio. Un giorno, una comitiva di briganti cominciò a convergere a piccoli manipoli alle porte di S. Angelo. La popolazione, trepidante, si asserragliava nelle case. Il terrore aveva fiaccati gli animi. Che fa il Vescovo buono? Senza pensarci su un momento, indossa gli abiti pontificali, ordina al clero di seguirlo con le insegne e preceduto dalla Croce, e muove alla volta di quei brutti ceffi ansiosi più di bottino che di strage. Li arringa; e dichiara loro con solenne semplicità che, se di sangue hanno sete, egli in persona è pronto ad immolarsi, purchè rinuncino ad entrare in città a saccheggiarne le pacifiche dimore...
I briganti, sorpresi e mortificati dalla mansuetudine eroica del prelato, si sbandano confusi e vergognosi: essi che non avevano paura della forza pubblica, e ch'ogni giorno sfidavano l'ergastolo e il capestro.
S. Angelo dei Lombardi fu immune dalla scorreria brigantesca, e mons. Fanelli benedetto da tutti, come benedetta è ancora la sua memoria nel popolo irpino.
Nel 1881 - vecchio di 75 anni - mons. Fanelli si ritrasse a Caserta presso il nipote Costantino (ivi Consigliere Delegato alla Prefettura) per ritemprare negli affetti familiari la fibra già stanca; ma sopraffatto dagli acciacchi delle infermità vi morì l'8 del mese di giugno, fra il compianto generale.
Luigi Ciccaglione. - Dal dott. Pasquale e da Maria Mastroianni, nacque in Riccia il 22 agosto 1804. Laureatosi in giurisprudenza, diede nel 1829, con ottimo successo, gli esami di concorso alla magistratura; ma il governo non lo nominò Giudice Regio a motivo delle idee liberali per le quali la polizia lo teneva già contrassegnato.
Nel 1862 - col novello regime - fu nominato Giudice, e con questo e il superior grado venne mandato successivamente a Cosenza, Luce-
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ra, e Lecce, fino al 1879, quando ebbe il collocamento a riposo per limite di età.
Il suo nome ha posto in queste pagine in virtù dei lavori ch'egli diede alle stampe: quali il "Sunto storico topografico d'Italia dalle origini al 1860": il "Cenno delle Rivoluzioni d'Italia dal 1799 al 1860": e sopratutto per una "Monografia di Riccia" che rappresenta un cospicuo contributo alla bibliografia locale.
Morì in Riccia il 9 novembre 1889.
Costantino Fanelli. - Il 25 gennaio 1835 nacque in Riccia da Pasquale e Maria Grazia Fanelli, e quivi morì l'11 giugno 1900.
Entrato nella carriera amministrativa nel 1859, vi fu conservato dal governo nazionale, e ne percorse tutti i gradì fino a quello di Prefetto: ufficio eminente ch'esercitò successivamente nelle provincie di Trapani, Teramo, Benevento e Reggio di Calabria.
Coltivò le belle lettere, e nel 1874 pubblicò le "Rimembranze giovanili": una raccolta di poesie di vario argomento, le quali, se non vanno al di là delle medie vette della lirica, attestano nondimeno la bontà degli studi, il gusto dei classici, e la gentilezza d'animo del loro autore.
FRAZIONI DEL COMUNE.
* Paolina. - È al confine con l'estrema zona occiduo-meridionale dell'agro di Tufara, e dal 1908 ha ottenuta una Scuola mista di Stato, per la quale il Comune contribuisce con la spesa di fitto dei locali.
Anzichè una vera e propria frazione, è un modesto aggruppamento di case coloniche.
* Castellano. - In antico vi sorgeva una piccola cappella per gli esercizi del culto. È in confine col bosco comunale. Dal 1908 vi è stata impiantata una Scuola mista di Stato.
NOTE ILLUSTRATIVE E BIBLIOGRAFICHE
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(273) Op. alla nota (59), a pag. 299. [(59) MAZZELLA SCIPIONE. - Descrittione del Regno di Napoli, ecc. In Napoli, Ad Istanza di Gio. Battista Cappelli, 1586. (Confr. a pag. 493).]
(274) Confr. a pag. 34 dell'opera alla nota (65). [(65) DELLA MARIA FERRANTE. - Discorsi delle famiglie estinte, forastiere, o non comprese nei Seggi di Napoli, imparentate colla casa della Maria. Napoli, 1641. (Confr. a pag. 227).]
(275) Alla morte di Re Ladislao, seguita nel 1414, ascese al trono la sorella di lui Giovanna, d'anni quarantaquattro, vedova di Guglielmo d'Austria, e nella vedovanza famosa per note dissolutezze.
Pandolfello Alopo, suo drudo, era Stato da lei elevato al grado di Camerlengo e poteva dirsi padrone dello Stato, tanto più che una di lui sorella Catella era moglie a Sforza di Cotignola Gran Contestabile del Regno.
La regina, frattanto, per ragione politica aveva stabilito di contrarre matrimonio con Giacomo della Marcia, cadetto della Casa Reale di Francia, il quale doveva all'uopo sbarcare a Manfredonia.
Giulio Cesare di Capua, invido di Pandolfello, mosse ad incontrare Giacomo; ed a Troia lo salutò col titolo di Re, proclamando che il Reame lo attendeva come un benefattore ed un riparatore del mal governo attuale. Saputosi poi destra- mente insinuare nell'animo del nuovo venuto, lo rese edotto delle sregolatezze della regina e dei favori che concedeva al Camerlengo.
Il 9 agosto 1415 si festeggiarono le nozze tra Giovanna Il e Giacomo: il di successivo Pandolfello era arrestato: e il 1º ottobre veniva decapitato nella Piazza del Mercato. Nel contempo Sforza era stato messo in carcere; e la stessa regina, costretta a vita ritirata sotto la vigilanza di un vecchio gentiluomo, non aveva di regina che il titolo.
Giulio Cesare di Capua, mentre gioiva delle persecuzioni dovute alle confidenze da lui fatte al principe consorte, era d'altra parte amaramente deluso dal non ricevere nessuna prova di simpatia da costui, che pure pel primo aveva acclamato Re; e, adontato, ideò una perversa vendetta.
Un giorno si presenta alla Regina e si offre di liberarla dalle angustie in cui viveva. Ella non doveva essere prigioniera d'uno straniero; e per amore della patria e di lei egli era pronto a sacrificarsi, e ad uccidere l'intruso!
La regina - che sapevalo autore primo di quanto era accaduto - fingendo raccapriccio ed orrore alla proposta delittuosa, lo esortò a calmarsi. Facesse passare la giusta collera che lo esaltava; e fra Otto giorni, a mente più calma, si stabilirebbe il da fare...
La regina, nella notte, lagnandosi col consorte del regime in cui la teneva, gli palesò il disegno criminoso del di Capua, alle cui confidenze egli aveva prestata cieca fede. Giacomo pareva incredulo; la cosa non era possibile...
Ebbene, conchiuse la regina, lo sentirete con le vostre orecchie.
Il di seguente Giulio chiese novella udienza: come aspettare otto giorni? egli era folle d'ambizione, e la vanità lo rendeva scemo di senno.
Giovanna Il acconsenti alla richiesta, e frattanto pregò Giacomo di star cheto dietro una cortina a udire il colloquio.
Il di Capua entrò, rinnovò con maggiore fervore le medesime proposte, dicendosi insofferente d'indugi, pronto ad agire e spiegando tutti i particolari preordinati per compiere il delitto per amore della sovrana e del Regno.
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La Regina, commossa di tanta devozione, lo accomiatò con sguardi lusinghe- voli... sennonchè il di Capua, prima di raggiungere l'uscita del castello, veniva tratto in arresto.
Sottoposto alla tortura, venne decapitato il 6 dicembre 1416 nel medesimo luogo dove era stato giustiziato l'Alopo.
(276) Op. alla nota (64), parte I, pag. 62. [(64) AMMIRATO SCIPIONE. - Delle famiglie nobili napoletane. In Firenze per Amadore Massi da Furli. MDCLI. (Confr. la Parte I, pag. 159).]
(277) Questo palazzo - in S. Biagio dei Librai - porta il Nº civico 121 (censimento 1911), ed in uno dei quarti accoglie gli uffici della 1ª Pretura Urbana.
(278) Confr. op. alla nota (133), vol. I, pag. 35. [(133) GRANITO ANGELO. - Storia della congiura del Principe di Macchia e della occupazione fatta dalle armi austriache del Regno di Napoli nel 1707, del marchese Angelo Granito Principe di Belmonte. Napoli, 1861. (Confr. volume I, pag. 1647).]
(279) Op. alla (87), a pag. 442. [(87) SCHIPA MICHELANGELO. Il Regno di Napoli al tempo di Carlo III di Borbone. Napoli. Stab. Tip. Luigi Pierro e Figlio, 1904 (Confr. a pag. 64).]
(280) Il Conte di Saponara era morto fin dal 1787, onde l'eredità dell'ultimo di Capua andò fruita da Luigi Sanseverino, figliuolo dell'erede suddetto, e consorte di Maria Saveria Recúpito.
(281) Op. alla nota (179), tomo I, pag. 252. [(179) CAPECELATRO FRANCESCO. - Storia di Napoli a miglior lezione ridotta dal professore Pierluigi Donini. Unione Tipografica Editrice, 1870. (Confr. vol. III, pag. 155).]
(282) Che tradotta, suona: Bartolomeo 111 di Capua Conte di Altavilla, costruì questo castello per diletto ed a sue spese, a difesa di questo luogo e delle fortune proprie, a presidio contro ogni furore di guerra, nell'anno della libertà umana 1515. Se ospite, accedi: fuggi, se nemico. Non tenatare l'ira di Giove.
(283) AMOROSA BERENGARIO. Riccia nella Storia e nel Folk-lore. Casalbordino Stab. Tip. N. de Arcangelis, 1903. (Confr. a pag. 209).
(284) Che vale: Questa casa resista fino a quando la formica essicchi i flutti del mare, e la testuggine peregrini per tutta la terra. 1507.
Questa pagina: https://www.roangelo.net/molise/riccia.html
A cura di Robert [Wesley] Angelo
[Altre monografie da Il Molise dalle origini ai nostri giorni : Other chapters from Giambattista Masciotta's "Molise - From its Origins to Our Own Day"]